L'iniziativa è stata lanciata nelle ultime 24 ore dalla UEFA e prevede una limitazione delle attività social degli aderenti fino a lunedì
CASTELLAMMARE DI STABIA - Il mondo del calcio lancia un chiaro messaggio a tutti coloro che vivono all’interno del web e, in special modo, all’interno dei social network: basta abusi contro i professionisti e i lavoratori appartenenti a questo settore. Per combattere questo fenomeno oggi decisamente diffuso su tutte le piattaforme principali digitali, la UEFA ha lanciato la “Black Out Social Media”, un’iniziativa nata in collaborazione con gli stakeholder del calcio inglese volta a limitare, se non addirittura ad annullare, le pubblicazioni online dei vari profili social di coloro che aderiranno al progetto dal pomeriggio di venerdì 30 aprile fino alla notte inoltrata di lunedì 3 maggio. A tale iniziativa stanno aderendo sempre più elementi e società appartenenti al mondo dello sport e il calcio italiano non sembra essere da meno. Dalla stessa FIGC, che si è espressa attraverso vari comunicati sui propri canali social e non, alle singole leghe, come comunicato dalla Lega Pro, sono sempre di più le adesioni a tale progetto. Anche i singoli club si stanno schierando apertamente a favore di questo movimento e della UEFA, come accaduto nel caso della Juve Stabia.
I social, sin dalla loro esistenza, hanno permesso di accentuare l’espressione di uno dei diritti fondamentali dell’essere umano: il diritto di espressione. Chiunque abbia un account social, vero o falso che possa esso risultare, ha la possibilità di dire la sua, mettendosi in contatto anche con personaggi ed enti che nella più classica delle normalità difficilmente sarebbero raggiungibili – basti pensare a quanto sia effettivamente facile, oggi, contattare giocatori su Instagram, su Facebook o semplicemente interagire con loro nella sezione commenti prevista dai vari post pubblicati in giro per il web.
Questa condizione di totale apertura, anche eccessiva, alla comunicazione coinvolge da anni tutti coloro che fanno parte del mondo dell’intrattenimento e dell’informazione. I social sono lo strumento oramai preferito per rivolgersi direttamente a chi ricopre un determinato ruolo all’interno della società, possa essere un’istituzione pubblica, un azienda privata o, perché no, un personaggio pubblico appartenente al mondo dello spettacolo o dello sport.
Ci sono varie problematiche, tuttavia, alla base di ciò e di certo non lo si scopre oggi.
In primis, le difficoltà sopraggiungono quando viene data la possibilità, come giusto che sia, a chiunque di parlare su qualsiasi argomento. Ogni persona presente su un social network si sente in diritto di poter esprimere opinioni e critiche ad altri anche quando la tematica non è ben approfondita o addirittura completamente sconosciuta – ciò ovviamente non significa che si parli a sproposito sulla rete, poiché è comunque alta la percentuale di persone che argomenta e discute nel rispetto altrui. Ciononostante, che alcuni non sappiano di cosa si stia parlando durante una conversazione e che quest’ultima possa facilmente degenerare è un dato di fatto facilmente osservabile dando uno sguardo in giro sulle varie pagine di riferimento, che si tratti di economia, politica o semplicemente di sport.
In secondo luogo, non aiuta alla convivenza sulle varie piattaforme di riferimento la virtualità del proprio avatar. Spieghiamoci meglio. Parlare attraverso uno schermo, che sia di uno smartphone o di un computer, permette all’individuo di interagire in maniera completamente diversa rispetto ad una tradizionale conversazione offline: ci sono tempi diversi, sia di ragionamento che di risposta concreta al messaggio/commento dell’altro interlocutore; espressioni di contenuti diverse, prendendo in esame la possibilità di poter motivare o meno la propria affermazione attraverso immagini e video che normalmente non sarebbe possibile utilizzare; ma soprattutto c’è la fuggibilità dell’individuo, ovvero la possibilità non solo di scappare dalla conversazione se non si ha voglia o se non si è d’accordo con le affermazioni altrui, ma anche quella di poter dire letteralmente tutto quello che ci passa per la testa perché tanto non stiamo parlando con quella persona faccia a faccia – e probabilmente non lo faremo mai, a meno che non si tratti di qualcuno che conosciamo veramente.
Questa condizione può portare gli individui a non ragionare a sufficienza prima di pubblicare un determinato contenuto o testo, che siano post, storie o semplici commenti, rischiando di cadere nell’errore più grave che la rete possa far commettere: non considerare le conseguenze delle proprie azioni.
Una tale condizione non può che sfociare nella problematica probabilmente più grave da poter riportare: l’insulto gratuito. Non avere più freni nell’espressione di noi stessi ci porta molte volte ad agire nel peggiore dei modi, prendendo così confidenze che non si hanno ed elargendo critiche e supposizioni a destra e a sinistra come se qualcuno avesse effettivamente dato il permesso di farlo. Questo fenomeno è drasticamente diffuso all’interno del mondo dell’intrattenimento. Sono storia i vari casi di sportivi che sono stati bersagliati sui social per qualche prestazione negativa o per un episodio in particolare, così da dover essere costretti a silenziare i commenti sotto ai propri post, cancellarli o addirittura abbandonare i social. Uno degli ultimi, se avessimo veramente tutta questa voglia di raccontare quanto accade in questa realtà digitale è quello legato a Nicolò Pirlo, figlio dell’attuale tecnico bianconero ed ex campione del mondo Andrea, bersagliato da continui insulti e minacce di morte per l’operato non proprio sorridente del padre alla guida della Juventus. Già solo la descrizione di un evento del genere lascia l’amaro in bocca, pensare addirittura ad una moltiplicazione a dismisura di questi “episodi”, o presunti tali, fa decisamente accapponare la pelle. E che non si dica sia il prezzo da pagare per essere una celebrità, perché in nessun contratto c’è scritto di dover essere bersaglio di offese gratuite, possano queste essere di matrice sportiva, razziale o di qualsiasi altro tipo – eh già, qualsiasi argomentazione è buona per attaccare una persona online, da risultati scadenti ad una maglia gettata al colore della pelle.
“Ci sono stati sia abusi in campo che all’interno dei social media. È una situazione inaccettabile che necessita di essere fermata con l’aiuto di tutti, pubblico, autorità legislative e giganti dei social media. Permettere che la cultura dell’odio cresca impunita è troppo pericoloso, non solo per il calcio ma anche per la stessa società. […] Ne abbiamo avuto abbastanza di questi codardi che si nascondono dietro l’anonimato per esprimere le loro nocive ideologie.” È da queste parole del presidente della UEFA Aleksandr Čeferin che nasce, quindi, l’iniziativa “Black Out Social Media”, scagliandosi contro un fenomeno che sempre di più si sta radicando in una società in libera perdita dei valori etici che governano il mondo di questo celebre sport.
Una presa di posizione dura, senza precedenti, che mira a ridimensionare il saturo ambiente del pallone, dal quale le adesioni a questo progetto non tardano ad arrivare. Partito dal territorio britannico, con accordi stretti con vari stakeholder del calcio inglese – tra cui la Football Association (FA) e la Premier League – il movimento proposto dalla UEFA risponde difatti al grido d’aiuto di tanti sportivi e lavoratori, che non hanno tardato ad affiancarsi per lanciare un chiaro messaggio – come d’altronde la Juve Stabia, che fino a lunedì dunque limiterà le sue pubblicazioni. Qualcosa, dunque, sta cambiando e chissà quale sarà la reazione di chi, invece, si trova dall’altra parte della medaglia.